Google blocca i cookies di terze parti

La scorsa settimana Google ha annunciato un enorme cambiamento nel modo in cui gestisce i cookie, quei tracker digitali  che vengono salvati automaticamente sul browser da un sito internet durante una visita, utili sia per migliorare l’esperienza dell’utente durante la navigazione in Rete, ma anche agli inserzionisti per pubblicare annunci mirati. Il colosso della ricerca, ha quindi annunciato che smetterà di supportare i cookie di terze parti nel suo onnipresente browser Chrome, scommettendo che il suo Sandbox sulla privacy (l’API per la tutela della privacy presentata per la prima volta ad agosto) nei prossimi due anni svilupperà funzionalità che andranno a sostituire i cookie di terze parti. La notizia arriva direttamente da Mountain View con Justin Schuh, direttore di Chrome Engineering, che nel post della scorsa settimana scrive:

“Gli utenti richiedono una maggiore privacy, tra cui trasparenza, scelta e controllo sul modo in cui i loro dati vengono utilizzati, ed è chiaro che l’ecosistema Web deve evolversi per soddisfare queste crescenti esigenze”,.

I motivi della scelta di Google

Google sta sicuramente compiendo un passo significativo rispetto al data mining sfrenato degli ultimi anni, certo è che dopo essere stato il pioniere e aver protetto un’apparente invasione della privacy, è lecito chiedersi se potrà davvero vendere il proprio browser ai consumatori come servizio che privilegia la privacy. Google quantomeno ci proverà e questo per due principali motivi: la crescente pressione normativa e la richiesta stessa da parte degli utenti di maggiore privacy, percepita sempre più urgente, tanto da aver spinto gli altri produttori di browser ad abbracciare la privacy come un vantaggio competitivo. Apple Inc. ha aggiunto restrizioni sui cookie a Safari diversi anni fa. Microsoft Corp. ha creato una serie di meccanismi di prevenzione del monitoraggio nel suo browser Edge, di cui in questi giorni è stata lanciata la nuova versione e Mozilla Corp. ha reso gli strumenti per la privacy a pagamento un punto di forza del suo servizio Firefox.

Cos’è la Privacy Sandbox e come funziona?

In concreto Google vuole inglobare la gestione dei cookie all’interno di un Privacy Sandbox, ovvero una nuova area all’interno della quale ogni utente avrà la possibilità di gestire i propri dati personali online. Questo si tradurrebbe con la fine dei cookie di terze parti, che non verranno più memorizzati e rimarranno nel device senza essere condivisi. L’iniziativa di Google Privacy Sandbox, partirà dal mese di febbraio 2020, iniziando a richiedere ai cookie di terze parti il rispetto di specifiche caratteristiche legate alla privacy degli utenti, proseguendo poi con la limitazione nell’uso della stringa “user agent”, contentente delle informazioni relative ai client che si connettono a un sito Web. Verrà invece utilizzato un meccanismo denominato Client Hints, per cui i portali potranno comunque accedere ad alcuni dettagli di base, senza però ricavare tutte le informazioni di tracciamento attuali, limitando al minimo indispensabile le informazioni condivise. Da un lato quindi Google contrasterà le tecniche di fingerprinting atte a tracciare le attività online per ricostruire nel modo più preciso possibile interessi e abitudini degli utenti, dall’altro permetterà agli utenti stessi di avere maggiori possibilità per gestire i dati che vengono condivisi online.

Ma quali sono le conseguenze per gli inserzionisti?

La mossa di Google appare però azzardata e rischia di compromettere le relazioni con inserzionisti ed editori, un vero tsunami per il mondo del marketing, dove la profilazione attraverso i cookie è spesso uno strumento essenziale per le strategie online. Google è però ben consapevole di non poter correre questo rischio e promette che l’iniziativa ridurrà il monitoraggio improprio, pur continuando a consentire il targeting degli annunci. In un futuro senza cookies, Google vorrebbe infatti che il targeting degli annunci, la misurazione e la prevenzione delle frodi avvengano secondo gli standard stabiliti dal suo Sandbox sulla privacy, in base al quale i cookie saranno sostituiti da cinque interfacce di programmazione dell’applicazione. Gli inserzionisti useranno ciascuna API per ricevere dati aggregati su problemi come la conversione (il rendimento degli annunci) e l’attribuzione (quale entità viene accreditata, ad esempio, per un acquisto). Privacy Sandbox rappresenta quindi un percorso alternativo che Google sta fornendo all’industria pubblicitaria, basandosi su segnali anonimi (che non sono cookie) all’interno del browser Chrome di una persona, per trarre profitto dalle abitudini di navigazione dell’utente.

“Le due aree in cui anticiperemo il maggior cambiamento sono l’aumento del valore dei dati proprietari sia per gli inserzionisti che per gli editori, nonché un aumento della scarsità di dati sul pubblico di terzi provenienti da broker e partner di dati che non hanno una relazione diretta con gli utenti ” ha affermato Paul Cuckoo, responsabile dell’analisi mondiale di PHD Media.

Cosa sappiamo delle API di Google

L’iniziativa Privacy Sandbox è ancora agli inizi, quindi mentre Google ha proposto molte funzionalità, non esiste una piattaforma o un codice reale che gli esperti di marketing possono valutare correttamente. Ecco quindi cosa sappiamo finora di ciascuna API: 

  • La Trust API è l’alternativa di Google a CAPTCHA: chiederà solo una volta ad un utente di Chrome di compilare un programma simile a CAPTCHA e fare poi affidamento su “trust token” anonimi per dimostrare in futuro che l’utente è un essere umano reale.
  • La Privacy budget API limiterà invece la quantità di dati che i siti Web possono ricavare dalle API di Google assegnando a ciascuno un “budget”.
  • L’ API di Google per la misurazione delle conversioni alternativa ai cookie informerà un inserzionista se un utente ha visualizzato il suo annuncio e alla fine ha acquistato il prodotto o se è atterrato sulla pagina promossa.
  • Il Federated Learning farà affidamento sul machine learning per studiare le abitudini di navigazione di gruppi di utenti simili.
  • Infine PIGIN (private interest groups, including noise), consentirà a ciascun browser Chrome di tenere traccia di una serie di gruppi di interessi a cui si pensa appartenga l’utente.

Gli obiettivi di Google 

Google ha affermato che è aperto a collaborare con entrambe le parti, ovvero sia con inserzionisti e sia con utenti di Chrome per assicurarsi che il suo Sandbox sulla privacy vada a vantaggio di tutte le parti interessate del settore e non solo dei suoi profitti. La società sta cercando feedback sui dubbi circa le tipologie di informazioni raccolte sugli utenti e approfondimenti sul modo migliore per consentire agli stessi di vedere quali dati vengono raccolti su di loro, nonché un feedback generale su ciascuna delle API proposte. L’obiettivo finale di questo intero processo è trasformare le API in standard web aperti che teoricamente potrebbero essere adottati dai fornitori di altri browser come Safari e Mozilla. Finora, l’organizzazione di standard World Wide Web Consortium è stata coinvolta nello sviluppo di Privacy Sandbox, portando alcuni operatori del settore a credere che potrebbe aprire la strada affinché le cinque API diventino coerenti in tutti i browser.

Non è ancora certo ciò che accadrà precisamente in futuro, per il momento sembra configurarsi un web in cui i grandi player cominciano per primi a mettere dei paletti per quanto riguarda la profilazione degli utenti, c’è da chiedersi però quanto queste mosse siano eticamente o strategicamente motivate.